(Inizio della storia tratto da “L’isola dei tesoro” di R. L. Stevenson)
[Jim è un ragazzo che si trova coinvolto in un’avventura entusiasmante e pericolosa. Venuto in possesso della mappa di un’isola in cui deve trovarsi un tesoro, si imbarca come mozzo su una nave. Fra i marinai, però, si infiltrano anche dei pirati, bramosi di appropriarsi del tesoro…]
Assorto com’ero nella manovra, mi ero dimenticato di sorvegliare i movimenti del mio compagno, Guardavo attentamente i gorghi che si aprivano al giungere dell’Hispaniola e aspettavo l’urto della nave contro la sabbia quando non so perché, mi venne fatto di voltare indietro la testa. Avevo forse sentito un leggero scricchiolio o fu un movimento puramente istintivo? Non so, ma è certo che Istrael Hands(uno dei pirati) mi stava sopra con il pugnale in mano…
Due grida sfuggirono dalle nostre bocche: di terrore dalla mia, di rabbia dalla sua. Hands si slanciò in avanti contro di me, io balzai indietro lasciando andare la sbarra che, tornando al suo posto, colpì in pieno petto il mio avversario e lo mandò a ruzzolare lungo, disteso a terra.
Devo la vita a questa circostanza.
Prima che lui si riavessero mi ero addossato all’albero maestro e puntavo le mie pistole verso di lui. Premetti il grilletto, ma ahimè! La polvere si era bagnata e l’arma non sparò! Maledissi la mia negligenza. Perché non avevo verificato e rinnovato la carica? avrei potuto da assalito farmi assalitore e invece dovevo fare come la pecora che funge dinanzi al beccaio.
IL volto paonazzo di furore, i capelli grigi e in disordine di Hands facevano spavento. Pensavo come sfuggirgli e intanto cercavo di ripararmi dietro l’albero maestro, quando un urico violento della nave pose fine alla mia insostenibile posizione, mandandoci tutti e due a ruzzolare sul ponte e insieme a noi anche il cadavere di O’ Brien.
Mentre Hands impacciato dal cadavere e dalla sua stessa debolezza faceva sforzi per alzarsi, io, rapido come il lampo, mi arrampicavo sull’albero maestro. La mia agilità da scoiattolo mi salvò dalla morte, perché il pugnale che l’assassino scagliò andò a conficcarsi nell’albero pochi centimetri al di sotto di me. Nel vedere fallito il suo colpo, Hands restò a guardarmi come inebetito, poi lentamente si avvicinò all’albero maestro per cambiare la carica alle pistole. Vistosi perdute cieco di rabbia, il misurabile cominciò ad arrampicarsi lungo la scala di corda con il pugnale fra i denti; ma ormai avevo terminati i miei preparativi e puntando contro di lui le pistole, gli gridai: ” Se fate un passo di più vi brucio le cervella! “.
Egli si arrestò: il suo viso assunse un’espressione grottesca. Alla fine, dopo molte contorsioni, si tolse il pugnale dai denti e disse: “Jim, vedo che siamo in cattive condizioni tutte e due e forse ci convien segnare la pace. Senza quella maledetta scossa ti avrei già freddato, ma non ho avuto fortuna. E’ dura per un marinaio come me dover cedere e dichiararsi vinto da un ragazzaccio”.
Io ascoltavo e sempre più mi inorgoglivo come un gallo salito sul muro…
(dall’autrice del blog…)
Chinò la testa, si riprese il pugnale e…colpì! Sì, colpì di sorpresa, inaspettatamente ma io agilmente mi spostai; pertanto le pistole, per il colossale spavento, cascarono: fine vita. Ebbi anche sfortuna per la morte non immediata – ero riuscito a salvarmi – ma uno stancante combattimento mi attendeva. Decisi allora, attraverso la rete, di calarmi fino al pavimento legnoso superiore.
Lo feci.
Mi tuffai in mare e tramite un barile galleggiai.
Dopo un giorno misi la mia testa fuori dal barile e vidi a pochi metri un’isoletta e della nave nessuna traccia.
Uscii dal mio momentaneo riparo e nuotai fino ad essa. Con cuor battente per la felicità di non essere più – dopo un po’ – zuppo com’ero.
Quando riuscii ad arrivare sull’isoletta, mi trovai bene: l’isola era piccola, notai subito una cavità e da lì trovai un tesoro immerso.
Entrai e vidi rubini, zaffiri, diamanti e tanto, tanto sfavillante oro.
Pensai subito che sarebbe stato il mio tesoro ma ora ero un naufrago: come fare a ritornare a terra o su una nave?
Capii che stare lì ad aspettare sarebbe stato inutile.
Decisi quindi di fermarmi lì quella sera, visto che l’arancio luccichio del sole era già sul cupo mare.
Mi svegliai con un’onda battente sullo scoglio dove ero appoggiato: tutt’altro che a Londra con la sveglia in legno rifinito con oro! Mi alzai di buon’ora (lo capii dal sole che incominciava a salire, come per riscaldarmi da quella fredda nottata). Mi misi subito a lavoro così che ebbi finito un’ora dopo: avevo creato una zattera di palme, l’avevo imparato al corso di sopravvivenza. Avevo fatto colazione con due miseri e rinsecchiti chicchi d’uva che avevo conservato in tasca.
Forgiai allora due remi, sempre in legno di palma, partii per l’avventura e mi direzionali verso il Nord secondo il mio istinto marinaro.
Remai per esattamente sei giorni e tre ore (credo) finché non arrivai finalmente su una penisola in Brasile: non conoscevo la lingua e quindi comunicai come i mimi.
Mi prestarono una nave chiamata “Fior”, completa di scialuppa e, per fortuna, una specie di capitano che avrebbe dovuto eseguire soltanto la rotta da me desiderata. Così fu.
Quando arrivai di nuovo sull’isoletta la riconobbi grazie dalla piccola cavità. Avvisai della mia assenza momentanea e, tramite una scialuppa, approdai su essa. Presi però anche due bei sacchi di cotone resistente e li riempii per benino con oro, zaffiri e diamanti: non i rubini perché di rubino era l’orecchino di Hands, mio rivale.
Così feci ritorno in Brasile e dopo ritornai a Londra; avevo già ventisette anni e mi ero imboscato per la prona volta a soli ventitré anni: erano passati ben quattro lunghi anni prima di ritornare a Londra con il mio grande bottino.
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