Una nuova avventura per Harry Potter

E mentre una leggera brina imbiancava i tetti di Londra, Harry Potter camminava lungo un roccioso e sterrato sentiero,

Ad un tratto scorse un movimento in un cespuglio di edera.

Silenzio.

Sbucarono due occhi cupi, tristi ma allo stesso tempo irati.

Da una crepa nella roccia ne sbucarono altri due e altri due ancora.

Harry si tirò per vedere quanti altri ne sbucassero, ma con sua grande sorpresa non ce n’era neanche uno.

Si rigirò. Niente.

Comprese che aveva avuto delle allucinazioni, perché un milione, anzi, un’infinità di occhi erano scomparsi nel nulla, o esse avevano penetrato la sua mente.

Riprese allora il cammino verso la sua meta, un giardinetto, e quando ci arrivò, si sedette sulla panca e aspettò che l’ombra della notte scendesse cupa e misteriosa e che un giorno passato si librasse nell’aria.

Cominciò  a pensare a quell’avvenimento, se fosse realtà o invenzione, ma dopo le palpebre gli si chiusero e lasciò spazio a un profondo sonno.

L’indomani mattina, bianco di neve, Harry potter si svegliò infreddolito, stremato dalla notte.

Si scrollò via la neve.

Una candida neve.

Si alzò e ritornò nell’appartamento che aveva affittato: un grigio monolocale con aria viziata.

Posò le chiavi e con le braccia incrociate si sedette vicino a un tavolino di legno decorato, comprato in un negozio di antiquariato.

Ci posò sopra ile mani e ripensò al momenti in cui l’aveva comprato era in compagnia di Hermione e di Ron e il venditore gli aveva spiegato che in passato quel tavolo era stato usato per appoggiare la bacchetta di personaggi importanti, quindi il prezzo sarebbe stato alto. Hermione aveva chiesto chi fossero essi e quindi il venditore, con basso volume di voce, aveva detto che la bacchetta di Lord Valdemort era stata usata nella stanza e posata su quel tavolino.

I tre amici non gli avevano creduto.

Harry ripensò anche a quando Ginny Weasley gli aveva raccontato che gli oggetti venuti a contatto con la bacchetta di Lord Valdemort, se venuti a loro volta a contatto con il sangue delle persone, avrebbero portato a strani eventi.

In realtà, a Harry era entrata una scheggia di quel tavolino nella mano: era successo l’estate scorsa, tutto per colpa di un dannato e monotono scherzo di Ron.

Infatti, prima degli occhi, c’erano stati gatti neri sbucati dal fuoco, e tanti altri impetuosi e bizzarri avvenimenti.

Si recò subito nella biblioteca principale e lesse che tutti questi piccoli e insignificanti avvenimenti, avrebbero infine portato a qualcosa di terribile…

Quando ritornò a casa e si mise a letto, Harry non sapeva se essere felice per la scoperta, o triste e preoccupato per quello che molto, ma molto presto gli sarebbe successo.

I giorni passarono e sempre più preoccupato, Harry voleva capire quanto questo momento sarebbe arrivato.

Circa un anno dopo, arrivò il gran giorno.

Camminando sul lago, Harry sentiva l’aria gelida scompigliargli i capelli e una brutta sensazione che gli attraversava la mente.

Improvvisamente una farfalla nera, con varie fantasie bianche e dorate, si posò sulla sua spala: Harry ebbe solo un momento per guardarla perché poi qualche misteriosa forza cercò di annegarlo nell’acqua.

Quando, dopo aver lottato disperatamente, Harry ritornò sulla riva Est del lago, corse via immediatamente.

Andò in mezzo alla città, cercando un po’ di conforto nella compagnia di altre persone, anche se in fondo sapeva di essere speciale.

Ritornando a casa, trovò una piccola porticina in legno marcito per il tempo, in un muro sgretolato, con freddi mattoni.

Harry pensò che, se fosse entrato, la fiamma della sua vita si sarebbe potuta spegnere per una fredda corrente d’aria, ma decise che la fiamma si sarebbe spenta dove almeno avrebbe programmato.

Appena entrato, scoprì che era una specie di fogna e la luce, che entrava da una fessura di un tombino, era rada e deprimente. Non appena Harry toccò una piccola crepa per terra, la crepa principale si estese e lo fece cadere rovinosamente nel fango di quella specie di fogna.

Harry, che era svenuto, fu risvegliato da un pizzicotto di scorpione.

Scoprì che ce n’erano altri, alcuni grandi come un polso.

Stavano tutti venendo fuori dalla crepa, come se Harry avesse risvegliato una malvagia bestia…

Come d’improvviso, una zampa dopo l’altra, dalla crepa, uscì uno scorpione grande come un palazzo.

Harry si arrampicò e cercò di raggiungere il tombino, ma proprio quando stava per uscire, la coda dello scorpione ruppe il soffitto.

Harry si sentiva piccolo, tanto piccolo: era attaccato solo con un braccio, a un mattoncino che stava per cadere, e sotto di lui lo avrebbe aspettato uno strapiombo.

La bacchetta gli era caduta quando si stava arrampicando e, quindi, come previsto, la sua vita si sarebbe ben presto spenta.

La bestia morì, così, all’improvviso, forse per un’infarto, ma mentre la testa di Harry elaborava tutto, con gran confusione, vide apparire sul lato destro della crepa Lord Valdemort.

Harry comprese che lo aveva ucciso lui il mostro, ma…perché?!

Lord Valdemort, con lo stesso sorriso falso, trascinò con un raggio di luce verdastra, Harry Potter giù, vicino a lui.

Harry non sapeva cosa fare, era senza bacchetta quindi, se lo aspettava un combattimento, avrebbe fallito sicuramente.

La cercò e la ricercò, ma invano.

Era sicuramente nella crepa.

Harry si buttò, proprio quando Lord Valdemort gli stava per puntare la bacchetta. Harry voleva la morte facile.

Dopo diversi spuntoni, Harry riuscì ad  aggrapparsi ad uno e a riprendere a tastoni la bacchetta.

La crepa era lunghissima circa dieci di quei mostri.

Appena impugnata la bacchetta, Harry ritornò su, vicino a Lord Valdemort.

Lord Valdemort alzò la bacchetta verso Harry, ma era stato troppo prevedibile perché Harry, agilmente, schivò il fulmine che esso gli aveva lanciato.

Con una serie di colpi, di scintille, di insulti, Harry riuscì a tirare un colpo nella milza di Lord Valdemort, che si accucciò. Lord Valdemort fece lo stesso sorrisino dell’inizio solo come per dire che si sarebbe vendicato molto presto.

Con la sua bacchetta, infine, risvegliò lo scorpione e si fece riaccompagnare all’inizio della crepa, in un luogo sconosciuto…

Quando Harry alzò gli occhi al cielo, notò una piccola folla che lo acclamava. Harry venne considerato un eroe ma non sconfisse del tutto Lord Valdemort, che giace ancora in quel posto sperduto…

L’incontro col brigante

(Inizio di A. Borsani, Il Mistero del libro sbagliato).

Dopo una mezz’ora buona che camminavo, ebbi come la sensazione di avere attorno un paesaggio diverso, anche se il bosco sotto la neve si assomiglia un po’ dappertutto. Il sentiero ora saliva troppo ripido e comparivano spuntoni di roccia che mi sembrava di non aver mai visto prima. Guardai l’orologio e vidi che erano quasi le quattro. Avrei dovuto essere già fuori dal bosco, ma davanti a me avevo alberi innevati sempre più fitti. Comincai allora a pensare di essermi persa, e in quel preciso momento sentiti un grido:

– Altolà!

Io non avevo capito bene cosa volesse dire quell’ordine. Da dietro il tronco dell’albero uscì un buffo personaggio. Se il momento non fosse stato così drammatico, mi sarei messa a ridere. L’uomo aveva un cappellaccio largo e un pesante giaccone nero, tra questi due indumenti spuntavano un folto cespuglio di barba grigia, due occhi luccicanti e un naso aquilino. Quello strano individuo avanzò puntandomi contro un vecchissimo fucile a tromba. Mi intimò di camminare.

Avanzammo per dieci minuti affondando sempre di più nella neve, il brigante dietro di me con il fucile puntato e io con le mani tese in avanti.

Avanzammo fino a dove il bosco finiva contro una roccia. Lì il vecchio brigante spostò dei rami secchi scoprendo un passaggio nella parete della montagna.

Dopo alcuni passi in quello stretto corridoio sbucammo in una gola che era simile a un cratere. Lì, addossata a una parete, c’era una capanna in legno con un camino che liberava un denso fumo grigio verso la piccola fetta di cielo che si scorgeva in alto.

Il vecchio brigante mi fece entrare nella capanna. Dentro c’era una piacevole tepore e pochissima luce. Riuscivo appena a vedere un tavolo con tre sedie attorno, una stufa, un letto e uno scaffale che sembrava carico di stani libri.”...

…Finché non mi sedetti, non notai un cuscino vicino a me. Volevo capire se aveva intenzione di farmi a pezzi, piano, piano, aspettando che gli spifferassi tutto quello che sapevo sul progetto “A.P.D” cioè Allarmi Per Discariche: per togliere i delinquenti che rapivano persone importanti come potenti banchieri o che rubavano all’incirca ogni anno un miliardo di euro e nascondevano tutto lì, sepolto sotto i rifiuti organici ben distinti e ritrovabili. Il cuscino, però, a cosa serviva? Forse se non mi avesse torturata mi avrebbe direttamente sparato con il cuscino in mezzo per non far sentire le pallottole che si conficcavano dentro di me… Non lo so. Dopo circa un’ora capii che voleva soltanto avere una compagna che gli facesse la colazione, che gli lavasse i vestiti ma anche che gli fosse fedele: ecco perché aveva poco prima lasciato libera sua moglie. Tutto ciò me lo raccontò in cucina, offrendomi dell’ottimo the verde con un retrogusto di limone zuccherato: sembrava abbastanza gentile se non fosse stato per l’ultima frase, quella che per il giudizio personale fu fatale. Mi disse, guardandomi negli occhi, che dovevo essere io sua moglie: a me sembrò la cosa veramente fatale, un urlo offensivo dettato dalla collera. Lui mi prese, mi strattonò e mi depositò contro un ripostiglio. Mi lasciò lì per due notti, senza pane, acqua, solo con il nulla delle energie. Il terzo giorno mi tirò fuori e mi buttò a terra un  misero pezzo di pane. Disse poi che sarebbe andato a caccia. A me venne da sorridere perché così avrei potuto tentare la fuga. Ovviamente lui sigillò tutto e io rimasi lì senza idee.

Siccome i suoi libri mi incuriosivano ne presi uno, guardando bene la sua posizione originaria: parlava di folletti e non appena arrivai a pagina duecento quaranta, trovai un foglio dove c’era scritto che duecento quaranta era in alto. Una via d’uscita! Aveva nascosto lì quel foglio poiché una visita inaspettata di altri briganti non avesse dato problemi. Io mi ingegnai con una mente da brigante finché non trovai un laccetto e lo tirai: la capanna che sembrava stabile cadde come un fiore calpestato.

Io me ne uscii ma cercai una bussola e ne trovai una d’oro: probabilmente rubata. Mi ricordai che la mia casa era a nord-est e quindi mi girai e camminai facendo attenzione a non farmi vedere dal brigante. Dopo circa due ore mi ritrovai nella discarica principale della città: non poteva essere perché la discarica era completamente dall’altra parte del bosco e quindi da casa mia.

Ripercorsi la stessa strada e ritornai a dieci metri laterali dalla capanna per non farmi vedere e così pensai che anche quello fosse stato un trucchetto, quindi andai dalla parte opposta: sud-est.

Dopo un’ora, passando davanti alla fabbrica che produceva allarmi per il progetto A.P.D., decisi di entrare e mi informarono che la polizia aveva appena trovato un Rolex con diamanti sotto un sacco di immondizie. Il ladro lo descrivevano con un largo cappello, vecchiotto e con un vecchio fucile a tromba: l’avevano appena arrestato e messo nella prigione principale, a due passi da casa.

Siccome era il brigante che avevo conosciuto io, decisi di andare a fargli un saluto. Appena entrata, lo vidi subito ed ebbi il permesso di entrare, poichè lavoravo presso l’A.P.D. Lui si mise a piangere perché non aveva più casa e gli rimaneva solo il nulla. Io mi commossi e gli promisi che lo avrei fatto uscire: lui arrabbiato, ma anche contento, fece un lieve sorriso, che a malapena riuscii a scorgere. Ritornai a casa e seduta su una sedia mi misi le mani fra i capelli: perché avevo combinato un guaio. Pensai per lunghe ora a cosa potevo fare: mi venne l’idea di autodenunciarmi. Chiamai la polizia e dissi che mi dovevano mettere in carcere. Loro, strabiliati, lo dissero al giudice ma io richiesi ad essi di non andare in tribunale. Chiesi anche di scontare però la pena carceraria al brigante. Loro accettarono e, dopo  qualche ora, mi vennero a prendere, mi misero le gelide manette e mi condussero nelle loro auto. Un giorno dopo mi diedero gli abiti di quel carcere: li conoscevo bene perché la prigione era  governata dal direttore dell’A.P.D. Mi annunciarono anche che avevano ridotto la pena del brigante da dodici a cinque anni: io avevo invece tre anni perché l0 avevo confessato e il mio reato era molto inferiore al grado di criminalità di quello del brigante. Ora mi sentivo bene e notai più sorrisi sopra il volto di Leonardo, il Brigante.

Ogni pranzo e cena ci incontravamo e questuo fece sì che diventassimo ottimi amici.