L’incontro col brigante

(Inizio di A. Borsani, Il Mistero del libro sbagliato).

Dopo una mezz’ora buona che camminavo, ebbi come la sensazione di avere attorno un paesaggio diverso, anche se il bosco sotto la neve si assomiglia un po’ dappertutto. Il sentiero ora saliva troppo ripido e comparivano spuntoni di roccia che mi sembrava di non aver mai visto prima. Guardai l’orologio e vidi che erano quasi le quattro. Avrei dovuto essere già fuori dal bosco, ma davanti a me avevo alberi innevati sempre più fitti. Comincai allora a pensare di essermi persa, e in quel preciso momento sentiti un grido:

– Altolà!

Io non avevo capito bene cosa volesse dire quell’ordine. Da dietro il tronco dell’albero uscì un buffo personaggio. Se il momento non fosse stato così drammatico, mi sarei messa a ridere. L’uomo aveva un cappellaccio largo e un pesante giaccone nero, tra questi due indumenti spuntavano un folto cespuglio di barba grigia, due occhi luccicanti e un naso aquilino. Quello strano individuo avanzò puntandomi contro un vecchissimo fucile a tromba. Mi intimò di camminare.

Avanzammo per dieci minuti affondando sempre di più nella neve, il brigante dietro di me con il fucile puntato e io con le mani tese in avanti.

Avanzammo fino a dove il bosco finiva contro una roccia. Lì il vecchio brigante spostò dei rami secchi scoprendo un passaggio nella parete della montagna.

Dopo alcuni passi in quello stretto corridoio sbucammo in una gola che era simile a un cratere. Lì, addossata a una parete, c’era una capanna in legno con un camino che liberava un denso fumo grigio verso la piccola fetta di cielo che si scorgeva in alto.

Il vecchio brigante mi fece entrare nella capanna. Dentro c’era una piacevole tepore e pochissima luce. Riuscivo appena a vedere un tavolo con tre sedie attorno, una stufa, un letto e uno scaffale che sembrava carico di stani libri.”...

…Finché non mi sedetti, non notai un cuscino vicino a me. Volevo capire se aveva intenzione di farmi a pezzi, piano, piano, aspettando che gli spifferassi tutto quello che sapevo sul progetto “A.P.D” cioè Allarmi Per Discariche: per togliere i delinquenti che rapivano persone importanti come potenti banchieri o che rubavano all’incirca ogni anno un miliardo di euro e nascondevano tutto lì, sepolto sotto i rifiuti organici ben distinti e ritrovabili. Il cuscino, però, a cosa serviva? Forse se non mi avesse torturata mi avrebbe direttamente sparato con il cuscino in mezzo per non far sentire le pallottole che si conficcavano dentro di me… Non lo so. Dopo circa un’ora capii che voleva soltanto avere una compagna che gli facesse la colazione, che gli lavasse i vestiti ma anche che gli fosse fedele: ecco perché aveva poco prima lasciato libera sua moglie. Tutto ciò me lo raccontò in cucina, offrendomi dell’ottimo the verde con un retrogusto di limone zuccherato: sembrava abbastanza gentile se non fosse stato per l’ultima frase, quella che per il giudizio personale fu fatale. Mi disse, guardandomi negli occhi, che dovevo essere io sua moglie: a me sembrò la cosa veramente fatale, un urlo offensivo dettato dalla collera. Lui mi prese, mi strattonò e mi depositò contro un ripostiglio. Mi lasciò lì per due notti, senza pane, acqua, solo con il nulla delle energie. Il terzo giorno mi tirò fuori e mi buttò a terra un  misero pezzo di pane. Disse poi che sarebbe andato a caccia. A me venne da sorridere perché così avrei potuto tentare la fuga. Ovviamente lui sigillò tutto e io rimasi lì senza idee.

Siccome i suoi libri mi incuriosivano ne presi uno, guardando bene la sua posizione originaria: parlava di folletti e non appena arrivai a pagina duecento quaranta, trovai un foglio dove c’era scritto che duecento quaranta era in alto. Una via d’uscita! Aveva nascosto lì quel foglio poiché una visita inaspettata di altri briganti non avesse dato problemi. Io mi ingegnai con una mente da brigante finché non trovai un laccetto e lo tirai: la capanna che sembrava stabile cadde come un fiore calpestato.

Io me ne uscii ma cercai una bussola e ne trovai una d’oro: probabilmente rubata. Mi ricordai che la mia casa era a nord-est e quindi mi girai e camminai facendo attenzione a non farmi vedere dal brigante. Dopo circa due ore mi ritrovai nella discarica principale della città: non poteva essere perché la discarica era completamente dall’altra parte del bosco e quindi da casa mia.

Ripercorsi la stessa strada e ritornai a dieci metri laterali dalla capanna per non farmi vedere e così pensai che anche quello fosse stato un trucchetto, quindi andai dalla parte opposta: sud-est.

Dopo un’ora, passando davanti alla fabbrica che produceva allarmi per il progetto A.P.D., decisi di entrare e mi informarono che la polizia aveva appena trovato un Rolex con diamanti sotto un sacco di immondizie. Il ladro lo descrivevano con un largo cappello, vecchiotto e con un vecchio fucile a tromba: l’avevano appena arrestato e messo nella prigione principale, a due passi da casa.

Siccome era il brigante che avevo conosciuto io, decisi di andare a fargli un saluto. Appena entrata, lo vidi subito ed ebbi il permesso di entrare, poichè lavoravo presso l’A.P.D. Lui si mise a piangere perché non aveva più casa e gli rimaneva solo il nulla. Io mi commossi e gli promisi che lo avrei fatto uscire: lui arrabbiato, ma anche contento, fece un lieve sorriso, che a malapena riuscii a scorgere. Ritornai a casa e seduta su una sedia mi misi le mani fra i capelli: perché avevo combinato un guaio. Pensai per lunghe ora a cosa potevo fare: mi venne l’idea di autodenunciarmi. Chiamai la polizia e dissi che mi dovevano mettere in carcere. Loro, strabiliati, lo dissero al giudice ma io richiesi ad essi di non andare in tribunale. Chiesi anche di scontare però la pena carceraria al brigante. Loro accettarono e, dopo  qualche ora, mi vennero a prendere, mi misero le gelide manette e mi condussero nelle loro auto. Un giorno dopo mi diedero gli abiti di quel carcere: li conoscevo bene perché la prigione era  governata dal direttore dell’A.P.D. Mi annunciarono anche che avevano ridotto la pena del brigante da dodici a cinque anni: io avevo invece tre anni perché l0 avevo confessato e il mio reato era molto inferiore al grado di criminalità di quello del brigante. Ora mi sentivo bene e notai più sorrisi sopra il volto di Leonardo, il Brigante.

Ogni pranzo e cena ci incontravamo e questuo fece sì che diventassimo ottimi amici.

Lascia un commento